Ansia e stress addio – Un nuovo percorso Bioenergetico per rigenerarsi attraverso il respiro ed il gesto

Viviamo in un’epoca dove il sé è la formazione della personalità sono andate progressivamente a sostituirsi con l’immagine che gli altri ci rimandano costantemente attraverso critiche, giudizi ed ammonizioni.

Sempre più persone raccontano, in studio, di non riuscire più ad approcciarsi alla realtà di tutti i giorni con serenità, slancio ed entusiasmo. I sintomi sono quelli legati alla sfiducia, al desiderio di chiusura ed incapacità di aprirsi con serenità verso nuove esperienze.

Il bisogno costante di ricevere approvazione e consensi genera una sorta di dipendenza sempre più radicale nei confronti dei giudizi altrui. “Io sono è valgo per quanto gli altri mi dicono di essere e valere”.

Come è possibile orientarsi verso un cambiamento di prospettiva della propria vita, rimettendo in discussione vecchi equilibri per rigenerarne di nuovi più funzionali e soddisfacenti, ovvero più attinenti alle reali esigenze personali e non derivate dal bisogno di approvazione?

Come psicologo e pedagogista, presidente dell’associazione culturale “Istituto Superiore di scienze pedagogiche filosofiche e bioenergetiche” di Empoli, ho dato vita ad un protocollo, denominato “I sentieri dell’anima”, basato su un pacchetto di otto incontri che consentono ai partecipanti di conoscere in maniera più approfondita la propria struttura caratteriale e lavorare sui blocchi energetici e le tensioni muscolari che spesso impediscono di vivere in maniera serena e gratificante la vita di tutti i giorni.

Che cosa si propone con questi incontri?

L’ obiettivo è quello di favorire l’apertura di spiragli all’interno delle tensioni psicofisiche accumulate dalle forti esperienze ansiogene e stressanti in modo da consentire alle emozioni congelate di liberarsi.

 In che modo avviene questo processo?

Dagli studi di Willhelm Reich prima (con l’individuazione dei sette segmenti corporei, ovvero quello oculare, orale, cervicale, toracico, diaframmatico, addominale e pelvico) e di Alexander Lowen dopo, si è arrivati a definire cinque strutture caratteriali fondamentali: orale, masochista, schizoide, psicopatica e rigida.

Per ogni partecipante è importante capire la propria struttura caratteriale e le sue sfumature, cercando di comprendere i meccanismi di funzionamento emozionale soggettivo, andando ad indagare le sensazioni, i vissuti ed i sequestri emozionali.

Riguardo a questi ultimi è importante essere consapevoli del fatto che, spesso, non siamo in grado di esperire tutte le sfumature emozionali, infatti, accade che a causa delle esperienze di vita trascorse molti di noi riescano a sentire ed esprimere soltanto alcun emozioni a scapito di altre.

In sintesi, molti pazienti (o praticanti delle sezioni di lavoro corporeo) lamentano il fatto di vivere all’interno di un’unica modalità emozionale, come se le loro orecchie riuscissero a cogliere soltanto alcune vibrazioni acustiche e la loro voce ad emettere soltanto alcuni suoni. Ecco allora che alcuni rimangono intrappolati nella tristezza, diventando schiavi del senso di perdita, vittime di pensieri malinconici, costringendo gli occhi a cogliere solo le grigie sfumature del mondo circostante. Altri invece sono sequestrati dalla rabbia, costruendo le relazioni interpersonali sulle note dell’aggressività, come se la colonna sonora della loro vita fosse sempre improntata nella narrazione di scene di lotta e conflitti di interesse perenni.

Accade inoltre che il dolore ed il senso di impotenza prendano il sopravvento e diventino abili conducenti del treno esistenziale di molti, alimentando pensieri distorti che hanno come leitmotiv il senso nichilistico di inutilità, di abbandono e disvalore del mondo.

Per molti è impossibile esperire la gioia, emozione che ha a che fare con il lasciar andare con il perdere il controllo. Nella nostra società, dove occorre sempre e comunque guardarsi le spalle, da una parte e, dall’altra, andare sempre alla ricerca di approvazione attraverso l’adozione di comportamenti estremamente consumistici, è difficile attraversare la paura, accoglierla e cedere, permettendo di abbandonarsi al corpo e rinunciando alla lotta fra sé e il dover essere, fra fragilità e corazza, fra vergogna ed apertura al mondo.

La resa è allentamento e sblocco delle tensioni, figlie dei conflitti perenni fra ciò che sentiamo e ciò che ci è impossibile accogliere ed esprimere.

Lasciar andare significa cadere.

Cadere è la metafora dell’accettazione di ciò che si è, svincolati dai presupposti ereditati da un dover essere inteso come missione, come mandato anche genitoriale.

L’”educazione nera”, quella manipolatrice non votata a far diventare autenticamente sé stessi ma a riflettere inautenticamente l’immagine delle aspettative irrisolte di altri, rappresenta il peso di un fardello identitario che non ci appartiene ma che è frutto di aspettative e desideri di figure adulte accudenti non pienamente risolte (sul piano professionale, relazionale, sentimentale, ecc.).

Disfarsi del fardello non è semplice perché siamo abbagliati dall’illusione che i blocchi e le tensioni (ovvero il peso che ci portiamo appresso) siano il nostro costrutto identitario.

Mette in crisi dover accettare di disfarsi di sé stessi, sarebbe una sorta di suicidio anche perché un processo del genere costringerebbe ad affrontare un forte senso di colpa, un’accettazione che ciò che ci portiamo appresso è la risultante di anni trascorsi ad accomodarsi ed adattarsi ad una manipolazione finalizzata al dover essere per il nostro stesso bene, al ricatto emotivo che se non si rinuncia a sé stessi soddisfacendo le richieste altrui, significa che non siamo degni di essere amati.

La risultante di questo processo di rinunciare presto a sé stessi si esprime in una varietà di tensioni e rigidità caratteriali che possono essere riassunti nel motto del masochista (sarò come tu mi vuoi), nel motto schizoide (non ho il diritto di esistere), dell’orale (io non ho bisogno), dello psicopatico (non posso essere me stesso), del rigido (non so amare).

 

 

Come avviene l’indagine della propria struttura caratteriale?

Ciò che avviene a livello psichico si riverbera anche a livello corporeo e viceversa. Le tensioni muscolari, le rigidità, il modo di porsi, la postura ecc., fanno da spia alla corazza caratteriale, intesa anche come risultante fisica delle proprie esperienze trascorse.

Riflettere su questo aiuta a comprendere come ognuno di noi si approccia alla realtà e come da questa ci si difenda attivando meccanismi inconsci per meglio preservarsi dall’angoscia.

Quando la realtà esterna è avvertita in modo minaccioso, ogni persona reagisce diversamente anche in relazione alla propria struttura caratteriale. Conoscere il carattere significa avere la possibilità di allentare, rompere i blocchi, aprire quelle contratture che rendono le cariche emozionali costrette all’interno delle fasce muscolari rigidamente serrate. Solo così è possibile attivare un vero cambiamento di prospettiva verso sé stessi ed il proprio mondo.

Come avvengono gli incontri?

Dopo un colloquio conoscitivo iniziale e di indagine dei vissuti più significativi, si lavora attraverso il silenzio e le risonanze interne che si vengono ad attivare attraverso l’autoascolto del respiro in posizione di grounding (radicamento) e attraverso l’arco.

Successivamente il lavoro si svolge sulla consapevolezza di sé e delle proprie tensioni, andando ad indagare la personale struttura muscolare ed emozionale, così da iniziare a comprendere la propria corazza caratteriale.

Cosa accade successivamente?

 

Piano piano si chiede al partecipante di esprimere cosa prova nei passaggi dalla tensione al rilassamento, dalla rigidità al cedere, dal trattenere al lasciare andare.

Il lavoro gestuale (prendere come afferrare la mia occasione, lasciare come sciogliere i propri legami, sollevare come allontanare da sé il peso delle preoccupazioni, spingere come incidere attivamente nella realtà, ecc.) consente ad ognuno di comprendere le proprie debolezze, punti di forza, paure, ecc.

Successivamente si normalizza tutto quanto emerso attraverso le fantasie guidate e le meditazioni dinamiche.

 

Quando avviene un reale cambiamento nel praticante?

 

Dott. Andrea Guerrini: nel momento in cui il praticante decide di cedere, di lasciar andare, di affrontare la paura di cadere arrendendosi al corpo e consentendosi di liberare le energie (sotto forma di cariche emozionali), avviene qualcosa di nuovo e di diverso.

La rottura dei blocchi e delle tensioni psicofisiche consentono di liberare un potenziale importante che restituisce una nuova visione di sé stessi.

Gli otto incontri proposti rappresentano un’occasione per conoscersi meglio ed attivare un qualche cambiamento utile ad affrontare ansie e paure dettate dalla situazione attuale.

 

 Perché il nome “i sentieri dell’anima”?

Questo protocollo è costituito da otto sezioni di lavoro diverso. Ogni sezione prevede 4 pratiche gestuali individuali e 4 dinamiche a coppia. In ogni sezione è previsto un confronto di gruppo iniziale ed uno finale.

I sentieri dell’anima stanno ad indicare dei tracciati, non strade di per sé ben definite e visibili ma qualcosa in divenire, itinerari che possono essere realizzati solo dal soggetto che, una volta deciso di de-strutturarsi per ridefinirsi sotto una luce diversa può darsi una nuova forma. Abbandonare la de-formazione intesa come inautentica costruzione del sé vuol dire accettare una autentica autoformazione, ripartendo dal sentire, da ri-orientamento e dalla scoperta di nuove potenzialità fino ad allora sconosciute.

Occorre attraversare sentieri, inventarsi percorsi, accedere alla propria creatività per costruire quella grammatica soggettiva in grado di far leggere tradurre in gesto ed emozione le parole autentiche della propria anima.

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