La gestione documentale delle cartelle cliniche (ai tempi del Covid-19)

In piena emergenza, il carico di lavoro e le condizioni, la scarsità di mezzi, strumenti, strategie e la carenza di risorse umane hanno evidenziato le falle di un sistema sanitario obsoleto.

La recente pandemia sta facendo affiorare con sempre maggior drammaticità una serie di inefficienze legate alla gestione delle informazioni in ambito sanitario, rendendo di conseguenza sempre più ineludibile una radicale opera di rinnovamento dei modelli e degli strumenti adottati da operatori e pazienti nell’ambito della gestione dei dati, anche nei paesi più evoluti dal punto di vista tecnologico.

Non è d’altronde solo il dramma del Covid-19 ad aver reso strettamente necessario l’avvio immediato di una fase di trasformazione in chiave digitale della gestione documentale in ambito sanitario. Ulteriori fenomeni socio-economici più strutturali in atto ormai da decenni – come la riduzione degli investimenti pubblici, l’aumento dell’aspettativa di vita, l’elevata mobilità delle persone e la crescita delle informazioni acquisite nei processi di gestione sanitaria del paziente – hanno infatti già ampiamente messo in luce la necessità di adottare nuovi modelli digitalizzati.

Il quadro normativo in Italia: CEE e FSE

Rispetto al tema della gestione elettronica delle cartelle cliniche, ad esempio, il sistema politico ha tentato negli anni scorsi di imprimere un’accelerazione verso la digitalizzazione del sistema, recependo gli obiettivi dell’Unione Europea contenuti nell’Action Plan eHealth 2004.
Ciò è avvenuto attraverso l’istituzione del Codice dell’Amministrazione Digitale (2005) e, successivamente, delle Cartelle Cliniche Elettroniche e del Fascicolo Sanitario Elettronico, con cui regioni e province autonome potessero unificare la raccolta dei dati e documenti digitali di tipo sanitario e sociosanitario dei pazienti, generati da eventi clinici presenti e trascorsi, e migliorare di conseguenza non solo i processi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, ma anche quelli relativi alla ricerca scientifica in campo medico, biomedico ed epidemiologico, alla programmazione sanitaria, e al monitoraggio della qualità delle cure e dell’assistenza sanitaria.

Più recentemente (2019) la Commissione Europea ha diffuso una serie di raccomandazioni in conformità al Regolamento 2016/679, utili a indirizzare a livello nazionale lo sviluppo di un formato europeo standardizzato per lo scambio delle cartelle cliniche informatizzate (EHR), al fine di garantire, in maniera sicura, interoperabile e transfrontaliera, la trasmissione di dati sanitari elettronici.

Il vicepresidente del mercato unico digitale Andrus Ansip sul tema ha inoltre dichiarato:

“Le persone chiedono un accesso online sicuro e completo ai propri dati sanitari, ovunque si trovino. I professionisti sanitari hanno bisogno di cartelle cliniche affidabili per fornire un trattamento più informato e più rapido. I sistemi hanno bisogno di maggiori risorse per la migliore assistenza personalizzata. Insieme dobbiamo accelerare e sviluppare lo scambio sicuro di cartelle cliniche elettroniche in tutta l’UE: ciò migliorerà la vita dei cittadini e aiuterà gli innovatori a trovare la prossima generazione di soluzioni digitali e trattamenti medici.”

Lo scenario applicativo in Italia: luci e ombre

Osservando il contesto del nostro Paese risulta chiaro come questo processo di trasformazione si sia purtroppo realizzato solo marginalmente. Mentre la diagnostica per immagini e la raccolta di dati riferiti al paziente in occasione dei ricoveri sono di uso comune, gli altri aspetti destinati a completare il quadro e rendere veramente efficiente la digitalizzazione sono trascurati.

Alla base del problema vi è sicuramente una particolarità della legislazione italiana, ovvero la ripartizione delle competenze tra Stato/Regioni, in questo contesto mal definita. Manca infatti un quadro normativo unitario che possa guidare le strutture sanitarie pubbliche e private nel processo di dematerializzazione a norma delle cartelle cliniche cartacee e nella gestione digitalizzata a monte di tale documentazione. Ciò, inoltre, ha generato anche una notevole frammentazione delle scelte di carattere tecnologico adottate dai diversi sistemi sanitari locali.

Una recente ricerca condotta dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano mostra un consolidamento del trend di crescita della spesa per la sanità digitale, con un +7% nel 2019 dopo il +2% dell’anno precedente, raggiungendo un valore complessivo di € 1,39 miliardi. Sono le strutture sanitarie a sostenere la quota più rilevante della spesa, con investimenti pari a 970 milioni di euro (+9% rispetto al 2017), seguite dalle Regioni con 330 milioni di euro (+3%), dai medici di Medicina Generale con 75,5 milioni (+4%), e dal Ministero per la Salute con 16,9 milioni di euro (contro i 16,7 milioni nel 2017).

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